Abbasso gli scarti. L’obiettivo dell’economia circolare è produrne meno possibile (e in questo il sottovuoto ti dà una grande mano, allungando la vita del cibo). Una strategia vincente? Dare nuova vita a quello che butteresti via. Sono sempre di più le start up all’avanguardia che si impegnano per trovare soluzioni virtuose di recupero e lavorare così nella direzione indicata dall’Agenda 2030 dell’Onu: dimezzare lo spreco alimentare da qui a sette anni. Il cibo può assumere altre forme e diventare altro, restando commestibile, oppure cambiando proprio faccia, in collaborazione con aziende tessili o del mondo beauty, per esempio. Vi raccontiamo cinque trasformazioni che ci hanno sbalordito.
Enrica Arena è CEO e co-founder di Orange Fiber, la ex start-up di Catania, diventata PMI innovativa, che realizza tessuti sostenibili per la moda a partire dagli scarti degli agrumi. Dal 2014 a oggi tanti brand famosi, a partire da Salvatore Ferragamo, hanno creato collezioni con i suoi materiali green. Quando spremete un’arancia, circa il 60% finisce nella spazzatura, tra buccia, semini e filamenti. Ecco quello si chiama “pastazzo” ed è a partire da qui che, grazie a un processo produttivo brevettato, si estrae la cellulosa adatta alla filatura. Un’intuizione brillante, finanziata anche da una campagna di crowdfunding, che non smette mai di evolversi.
In Italia si parla tanto anche di Biova project, un programma di economia circolare che recupera il pane invenduto, secco e avanzato da ristoranti, fast food e grande distribuzione, per trasformarlo in tre tipi di birra artigianale (lager chiara, ambrata e Ipa) e in snack a base degli scarti di malto d’orzo (che di solito viene buttato o usato come compost), portando così a zero gli scarti della sua produzione. Biova project ne recupera 150 chili per produrre 2.500 litri di bevanda, con il 30% in meno di orzo.
Sapete cos’è l’okara? È quella polpa bianca che resta dopo la spremitura per ottenere il latte vegetale. La cucina giapponese, coreana e cinese la riutilizza in cucina in vari modi; in Italia invece non abbiamo questa abitudine e in genere la buttiamo via. Può essere di vari tipi: soia, riso, mandorla e avena. Proprio da quest’ultima, Packtin, una start up nata nel 2017 nei laboratori dell’università di Modena e Reggio Emilia, ricava una farina, e fa la stessa cosa con altri scarti, come le bucce d’arancia, di pomodoro, di carota, di ananas e di zenzero. Le chiama proprio “farine circolari” e sono ottenute tramite l’essiccazione a freddo, così l’aroma resta intatto e non perde le sue proprietà nutritive, e vendute sottovuoto. Una grande idea all’insegna del riciclo creativo con un obiettivo che punta in alto: entro il 2025 Packtin sarà in grado di recuperare 15 mila tonnellate di sottoprodotti all’anno!
Bucce e semi di mele piemontesi biologiche presidio Slow Food, scartati durante il processo di produzione dei succhi, che diventano creme per il corpo, sieri antirughe e detergenti viso. Più circolare di così! La pasta di mele che si ricava ha proprietà purificanti e antiossidanti e Naste Beauty la utilizza per creare la sua linea di cosmetici vegani. Il loro impegno verso l’ambiente va anche oltre l’utilizzo degli scarti, perché non spreca l’acqua usata nella lavorazione, usa vetro riciclato per i vasetti delle creme, e anche la carta del packaging è di recupero.
Finora in tutti gli esempi che vi abbiamo raccontato c’è uno scarto che non viene gettato e si trasforma in qualcos’altro di utilizzabile, anche in altri settori. Poi ci sono casi, come quello della start up agricola toscana Funghi Espresso dove qualcosa che in genere finisce nella spazzatura diventa una risorsa di energia per generare altra vita. Succede così con i fondi di caffè recuperati (pensa che i 110 mila bar in Italia ne producono 300 mila tonnellate all’anno!) per essere utilizzati come substrato di coltivazione dei funghi. Sono l’ideale perché ricchi di minerali e altre sostanze nutritive utili per la loro crescita, evitando così l’uso di fertilizzanti chimici. E dopo l’uso, tornano al suolo come compost.